Se avete letto Moto Perpetuo avete incontrato i Dalhan, un gruppo di scorridori del deserto che cavalca rapidissime macchine a petrolio a due zampe. Il nome che si sono scelti è ispirato a una genìa di demoni della mitologia islamica, i Dalhan appunto (noti anche come Dulhama, Duhlak, Dulhak, Dulchaph o Delhán).
Si tratta di demoni cannibali che infestano i deserti del medio oriente e le isole prossime alle coste della penisola araba. hanno un aspetto umanoide, ma la loro pelle è quasi nera. Indossano stracci rovinati attraverso i quali spuntano i lunghi capelli e i peli del corpo. Odorano di decadenza e di sporcizia della tomba, Hanno braccia lunghe e nervose con dita allungate dotate di unghie lunghe come artigli, incrinate e rovinate, fronte increspata e naso piatto, e la loro bocca è un enorme buco nero irto di denti che usano per divorare le loro vittime.
Questi mostri vanno a caccia dei viaggiatori solitari che si addentrano nei loro territori, a cavallo di una creatura demoniaca simile a uno struzzo ma dotato di ardenti occhi rossi e in grado di correre più veloce di qualunque cavallo.
Quando un Dalhan attacca la sua preda, il demone assale il cavaliere mentre la cavalcatura usa le sue lunghe zampe munite di artigli per tagliare la gola del cammello o del cavallo, come un velociraptor.
Circola anche la storia di un Dalhan che è salito a bordo di una nave, trovando però una fiera resistenza da parte dei marinai, numerosi e agguerriti. Allora il demone ha lanciato un grido terribile che ha fatto perdere i sensi a tutti gli uomini sulla nave, consentendo a lui e alla sua cavalcatura di banchettare tranquillamente.
La miglior descrizione che abbiamo di un dalhan, anche se non viene chiamato così, è nel racconto del marinaio Aboulfaouaris, protagonista di una storia molto più lunga e piena di avventure narrate nella raccolta di racconti tradizionali I Mille E Uno Giorni: Racconti Persiani.
Aboulfaouaris e la sua ciurma avvistarono un uomo aggrappato a un tronco d'albero al largo dell'isola di Java. Sono andati subito a soccorrerlo e l'hanno tirato a bordo, rimanendo costernati dal suo bizzarro aspetto [corrispondente alla descrizione che ne abbiamo fatto più sopra, ma senza la cavalcatura]. Quando gli hanno detto che l'avevano appena salvato dall'annegamento, l'uomo misterioso ha risposto: "Avrei potuto rimanere in acqua per anni senza nemmeno annoiarmi, ma c'è una cosa alla quale non riesco più a resistere: la fame. Non mangio da dodici ore. Vi prego, datemi qualcosa da mangiare. Non sono schizzinoso.
Gli proposero anche dei vestiti, ma lui riferì che lui andava sempre nudo. "Non preoccupatevi, avrete molto tempo per abituarvici." rispose con aria minacciosa, tamburellando col piede con impazienza.
Gli misero davanti cibo sufficiente per sei uomini. Lui lo ripulì in fretta e ne chiese ancora; gliene fu presentato altrettanto, che fu fatto sparire con la stessa voracità, e ne chiese per la terza volta. Uno degli schiavi, scioccato e offeso dalla sua insolenza, tentò di colpirlo, ma l'uomo lo prese per le spalle e lo strappò in due metà.
Si scatenò l'inferno. Aboulfaouaris, i marinai, gli schiavi, tutti si gettarono contro la creatura con le spade sguainate, determinati a ucciderla. Male spade si rompevano e le frecce rimbalzavano inutili contro la sua pelle. Allora provarono a gettarlo fuori bordo, ma il Dalhan piantò i suoi artigli nel legno del ponte.
I marinai erano impotenti contro il mostro. Egli, d'altro canto, non ebbe problemi ad afferrare un marinaio e farlo a pezzi con i suoi artigli. "Amici miei, vi conviene obbedirmi. Ho ammansito persone peggiori di voi, e non avrò alcuna esitazione a farvi condividere il fato dei vostri due compagni."
Così cominciò un regno di terrore. Il Dalhan aveva il totale controllo della nave, e mangiò il suo quarto pasto sotto gli occhi terrorizzati dell'equipaggio. Aboulfaouaris sperava che il cibo e le chiacchere lo facessero appisolare, ma il mostro gli ricordò compiaciuto che lui non aveva alcun bisogno di dormire, e che nessuno dei racconti soporiferi che stava cercando di narrargli avrebbe avuto alcun effetto.
Ogni speranza sembreava perduta finché la liberazione non scese dal cielo. I marinai sollevarono lo sguardo e videro un roc [un uccello mitologico gigantesco] calare su di loro, e si dispersero terrorizzati. Il Dalhan, invece, non si era accorto di nulla, e rimase tranquillamente in piedi al centro del ponte. Un bersaglio facile!
Il roc discese e afferrò il dalhan, prima che potesse aggrapparsi allo scafo. Ma la preda non intendeva arrendersi senza combattere, e cominciò a graffiare e mordere la pancia del roc. L'uccello rispose cavando gli occhi del Dalhan con i suoi artigli, ma il demone non si fermò, e si fece strada nel corpo gigantesco del suo nemico fino al cuore. Prima di morire, il roc afferrò col becco la testa del dalhan e strinse fino a spaccarla come un guscio d'uovo. Entrambi i mostri precipitarono nell'acqua e svanirono.
Questo sì che è un deus ex machina...
Il racconto e l'immagine a inizio post sono presi da A book of creatures.
Non è la prima volta che utilizzo i Dalhan nei miei racconti: una versione più "tradizionale" la potete trovare in "Speranza Perduta", all'interno della raccolta "Il diario dell'amnesia" edita da Edizioni Hypnos.